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Laboratorio d'Informatica anni '70

Era un lunedì mattina, di marzo, con un cielo grigio e umido sopra Bologna. I ragazzi della IV A5 del Belluzzi entravano nel laboratorio d'Informatica, dove, come sempre, per loro il tempo era fermo in quell’espressione tipica da sedicenne, tra l'attenzione e il sonno, mentre in realtà accelerava verso l’ignoto futuro.
La luce fredda dei neon riflessa sui banchi disposti ordinatamente dell'aula dove, posizionate contro i muri, quattro grosse calcolatrici programmabili e quattro telescriventi erano accese e ronzanti, mentre sonnecchiava una grossa perforatrice di schede.
Roberto osservava la telescrivente con rispetto quasi religioso inserendo il nastro perforato che conteneva un semplice programma in Basic. Poi sollevava il ricevitore del telefono, componeva sul disco rotante il numero del collegamento al centro di calcolo del CINECA. Connesso al remoto CDC660, azionò sulla telescrivente il lettore di nastro. La telescrivente sembrò prendere vita con un “Clack-clack-clack” mentre sulla carta scorreva l’output del suo programma. Niente monitor, solo impulsi elettrici che da chissà dove producevano linee stampate.
Così alcuni altri compagni: trasmettevano comandi e attendevano risposte che viaggiavano attraverso qualche chilometro di cavi telefonici.
Alcuni altri, curvi sui banchi, ricomponevano sui fogli diagrammi a blocchi le istruzioni dei programmi che poi avrebbero dovuto limitare il più possibile l'uso delle risorse di calcolo, poiché la scuola pagava al CINECA il tempo macchina utilizzato, evitando la possibilità che si alluppasse.
In fondo all’aula qualcuno stava ora usando la perforatrice IBM, qualcuno di fronte alla macchina che più di tutte ci mostrava la modernità. Qualcuno che però stava sbagliando: un buco fuori posto e il programma non avrebbe funzionato. Un sospiro, e ricominciò da capo dopo aver nascosto tra i fogli del quaderno la scheda da buttare.
La professoressa, signora Lolli, sedeva dietro la sua scrivania con una la sua giacca di lana e un’espressione materna che diceva “Non è magia, è logica e pazienza. La tecnologia vi chiede rispetto, non fretta.”
In quell'aula si stavano scrivendo — senza saperlo — un po' di preistoria dell’informatica.